sabato 13 ottobre 2007

Vocalità

Buongiorgio a tutti! Prendo le mosse dalle ultime battute del post precedente per lanciare una sfida: usare la voce umana come uno strumento musicale, o suonare uno strumento musicale come una voce umana? La vocalità nel jazz ha perso spontaneità e naturalezza - se è possibile - e anche il suono degli strumenti non è più così "evocativo" come una volta... si privilegia la tecnica a discapito dell'"umanità" dell'espressione musicale o, al contrario, per aiutarla??? Cosa ne pensate?? Io ho le mie idee in proposito ma, come notava Purple (che onestamente non ho individuato! Purple, aggiorna il profilo...), sono pronto a cambiarle se convinto.

26 commenti:

purple ha detto...

Ecco, la vocalità nel jazz. O potrei tranquillamente dire, la vocalità. Punto.
Non credo esista uno strumento più difficile da "suonare" della voce.. Penso tu abbia centrato il cuore della cosa, Joe: una voce deve saper emozionare. E per poterlo fare, deve emozionarsi essa stessa, altrimenti nisba, niente contatto, niente scintille.
Nel jazz di oggi la vocalità ha subìto, a mio avviso, uno svilimento e una banalizzazione che l'hanno portata da una parte verso un filone di interpreti "juke-box", dall'altra verso nevrotici e nevrotizzanti tentativi di originalità, con risultati talvolta molto più comici e meno dignitosi dei primi.
Il dato di fatto oggettivo, con cui si deve necessariamente fare i conti, è che pochissimi strumentisti sono disposti ad accompagnare con entusiasmo e sensibilità cantanti alla ricerca di nuove forme di espressione. Sicché, quando va di lusso, si tende a ricadere nei soliti standard o, peggio che mai, ci si adegua a suonare cose che non ci appartengono, che non sentiamo nostre. E l'emozione se ne va a donnacce....

Purple

P.S. Joe, non ci credo!

joe ha detto...

Forse gli strumentisti non sono disposti (diciamo pure che si rompono le palle) ad accompagnare gente che sperimenta non nuove forme di espressione, ma piuttosto nevrotici e nevrotizzanti tentativi di originalità. Come giustamente dicevi tu. Il segreto, secondo me, è da ricercare nel fatto che pochi hanno il coraggio di affondare le radici... pochi hanno voglia di investire nel proprio passato, nel proprio substrato culturale, e magari anche di voler riconoscere che il jazz ha una matrice "nera", cioè di istinti, di cicli naturali, di emozione vissuta semplicemente e non col vezzo snob dell'intellettuale. La mia ricerca di originalità diventa nevrotica nel momento in cui non so dove appoggiarmi, o non voglio appoggiarmi per PRESUNZIONE, su basi solide. Le basi solide non sono solo tecniche, o culturali, ma piuttosto antropologiche. Il successo del calcio (sì, del gioco del pallone) è basato sulla tribalità, gli istinti, sulla "trance" alla quale gli spiriti più semplici non sanno e non vogliono resistere...sulla competizione, spero sempre sana... se anche gli amanti del jazz, o i musicisti, mantenessero intatta questa semplicità di accenti, semplicità che fu di tutti i più grandi, la musica jazz sarebbe la più diffusa al mondo. Ci vuole il coraggio di non farsi problemi di immagine... bisogna saper prendere l'ascensore che porta all'interno, nel profondo di se stessi...bisogna trovarsi, essere se stessi dall'inizio alla fine... e portare tutto ciò, con semplicità, nella musica. E poi, il corpo più che la mente. Il corpo SA. Erroll Garner diceva ALLE PROPRIE MANI, prima di suonare, "ragazze, fate il vostro lavoro"... è un po' la (ri)scoperta che è di Keith Jarrett più recentemente, e con motivazioni diverse. Jarrett SI SFORZA di far uscire la musica... ed è giusto che si sforzi perchè lui ha una storia personale assolutamente sovrastata di ego e superego da far paura. Garner no, e la musica fluiva in maniera più libera. Ma entrambi hanno ragione. E, guarda caso, entrambi mentre suonano CANTANO.

purple ha detto...

Mi trovi drasticamente d'accordo con te, Joe. Forse riassumerei quanto detto con un concetto, in una parola : onestà. Il coraggio di essere onesti, con se stessi e con gli altri. Manca un po' a tutti, ogni giorno, a vari livelli. La musica è la cartina torna-sole dei nostri umori, delle nostre verità più profonde. Impossibile mentire, quando si fa musica. O si è o non si è. Tutto il resto è noia.
Poi scriverei a lettere grandi LA SEMPLICITA'. Santa madre, non riusciamo più ad essere semplici, a dire le cose come stanno veramente. Giri di parole, inutili, complicate, contorte. Non ho dubbi che fare buona musica voglia dire innanzitutto sfrondare, levare lo strato di vanità, paure, egocentrismo, orgoglio, protagonismo e sicumera.
Quando suono in pubblico cerco sempre (con fatica, lo ammetto) di togliere, togliere, togliere. Quel che resta spero sia solo musica.
Ciao.

Purple

Rodolfo Marotta ha detto...

il jazz ha una matrice "nera", cioè di istinti, di cicli naturali, di emozione vissuta semplicemente e non col vezzo snob dell'intellettuale

Si più o meno d'accordo con quel premio nobel che sostiene che i negri siano meno intelligenti...un po' animali, forse, cicli naturali, istinto...

Lo chiamerei razzismo, piuttosto.

joe ha detto...

Infatti, proprio per far capire che non si tratta di razzismo, ho messo la parola "nera" tra virgolette. Per indicare il lato più naturale che è e sopravvive in ognuno di noi.
Anche io sono un animale, come tutti i bianchi, i neri, i gialli... l'animale uomo è il più bell'animale della terra. Ed è bello quando qualcuno se lo ricorda, e non ne ha paura. Proprio come sanno fare, con grande intelligenza e "savoir vivre", molti neri.

Jay Jay ha detto...

Il fatto che il jazz sia una musica nera, e per nera intendo afroamericana, è un dato di fatto, è insito nella sua stessa definizione. Con stupore spesso assisto a simpatizzanti del jazz che si stupiscono nel sentire che il jazz sia una musica afroamericana...Si fa fatica a pensare che quella musica, che da molti profani (che però si credono grandi estimatori)viene vista come un modo snob di passare la serata, per poter dire il giorno dopo in tono sbarazzino: "Sono andato ad ascoltare del jazz..."(con la "a" ben aperta ed in vista), ebbene, si fatica a pensare che abbia delle radici etniche fortissime, che si esplicitano nei suoi elementi fondanti. Appunto il jazz è istinto ed invenzione(l'improvvisazione), estrema esaltazione ritmica (lo swing)ma anche elaborazione esplosiva di modelli armonici che si integrano negli elementi di cui sopra. Questo non significa essere "razzisti", anzi, almeno per quanto mi riguarda, il lato prettamente "istintivo" del jazz è uno dei "pezzi forti" di questa musica, che la contraddistingue da tutti gli altri generi. E'altresì razzista la signora "tu mi stufi" che fatica a pensare al jazz come musica afroamericana, abituata ai continui FURTI che i jazzisti bianchi hanno operato ai danni di quelli neri dai tempi dei Minstrels e di Nick La Rocca fino a Chet Baker e compari (e qui mi faccio molti nemici). Furti che hanno spesso scollato il jazz dalle sue radici afroamericane. E poi non dimentichiamoci che nel jazz non esiste solo istinto ma anche studio e ragionamento. Molti musicisti classici rimangono attoniti di fronte ad una persona che riesce ad IMPROVVISARE, a creare qualcosa di compiuto sul momento, rendendo inscindibile la figura del compositore e dell'esecutore...Esaltare quindi il lato "estemporaneo" del jazz non significa fare un torto agli afroamericani, facendoli apparire dei selvaggi senza cognizioni,anzi, vuol dire esaltare le straordinarie qualità musicali che i loro avi hanno portato dall'Africa e che i jazzisti (ma anche i bluesmen e tutti i musicisti afroamericani in generale)hanno saputo integrare nei modelli musicali europei con una sapienza ed un'invenzione veramente straordinarie.

bruto ha detto...

dico la mia...
il jazz non è, secondo me, musica afroamericana: è musica americana.
prendo un pezzetto da un libro che joe sa che mi è molto caro:
"... ”Avevamo differenti tipi di persone a New Orleans,avevamo francesi, spagnoli, indiani, americani, e ci siamo tutti mescolati alla stessa maniera…”
La tollerante New Orleans ha assorbito lentamente nel corso di secoli influenze musicali dalla penisola iberica , dall’Africa, da Cuba, da Parigi, dalla Martinica, dall’America e tutti questi sapori si possono ritrovare nel jazz."
e, più avanti
"È nella vita quotidiana di questi creoli che possiamo trovare il carattere emozionale del jazz, per essi la musica non era soltanto un prodotto afro-americano, non semplicemente un complesso di vari elementi, ma una nuova musica di New Orleans, fatta da gente di New Orleans".
Volutamente tralascio di citare Sudhalter e il suo celeberrimo quanto poco letto (comprensibilmente, vista la mole) "lost chords".
in conclusione, il jazz non è musica nera, i bianchi non hanno rubato (almeno non la musica, spazi e denaro, quelli indubbiamente sì), se si deve per forza dare una matrice "razziale" alle origini del jazz, allora è musica "creola".
secondo me.
rispettosamente vostro,
bruto

Rodolfo Marotta ha detto...

sica che ha una struttura formale estremamente rigorosa sia nella composizione che nell'improvvisazione, anche quella più radicale. L'istinto c'entra poco.
C'è lavoro, studio e ricerca.
L'analisi delle strutture compositive lo dimostra ampliamente.
Consiglierei, se mi perdonate questo vezzo un po' da professorino che non mi appartiene anche se in questo frangente viene un po' fuori, la lettura di:

Davide Sparti
Suoni Inauditi
Il Mulino Intersezioni

Ekkehard Jost
Free Jazz
Epos

Saluti a tutti.

Jay Jay ha detto...

Sono d'accordo con te Bruto quando parli elementi eteogenei che confluiscono a formare il jazz. Però è innegabile che il 99% delle componenti fondamentali del jazz è squisitamente di matrice afroamericana. In primis il blues e la sua struttura melodica (scale pentatoniche e affini, per quanto sia noto che anche popoli delle Indie orientali usino le stesse strutture). Poi il ragtime con l'innovazione fondamentale apportata dal modo in cui in questo genere si tratta la questione ritmica specialmente con l'uso massiccio della sincope e gli spostamenti d'accento. Poi potremmo parlare degli spiritual e del gospel, quest'ultimo che, oltre all'espressività vocale e a quella ritmica (per esempio nello shout, ripreso nel ragtime:Carolina Shout di J.P.Johnson p.e.)porta nella nuova musica la struttura "call-response" e comunque comune a molte forme d'espressione afroamericane, poi ripresa in modo più esplicito nell'hard bop (Moanin',So What,la scuola di Jimmy Smith...), ma chiaramente evidente anche nel blues urbano("Boom boom" di John Lee Hooker p.e.). Quando parlo di furti ai danni dei neri, voglio dire semplicemente che nella stragrande maggioranza dei casi i musicisti bianchi hanno assorbito e spesso fornito una brutta copia (a mio giudizio, ovviamente)di ciò che era stato inventato da quelli neri, spesso spacciandosi per "inventori". Cos'è il Dixieland se non la versione bianca del New Orleans? Cos'è il Cool Jazz se non la versione bianca dell'Hard Bop? Ma purtroppo Buddy Bolden probabilmente all'epoca non ebbe lo stesso successo che in seguito avrà l'Original Dixieland Jass Band, quindi non potè godere appieno della primogenitura!:-)Miles Davis, nella sua autobiografia, fa un passaggio sulla nascita del Cool e si riferisce principalmente alla West Coast (Baker, Mulligan..)ed è molto pesante nel giudizio che dà di questi musicisti. Non ho il libro ma appena posso ti riporto la citazione completa. Ma dice + o - :"Non hanno inventato nulla".

purple ha detto...

Interessantissimi i vostri spunti di riflessione...un po' meno la battuta sul razzismo, mi pare che questo sia un luogo di scambio di idee ragionevoli e ragionate.
Vorrei però "riportarvi all'ordine" (!!)......ma non si stava parlando di vocalità???!!!

Purple

Rodolfo Marotta ha detto...

urple, la mia non era una battuta ma una constatazione.
Se si associa alla musica degli afroamericani termini come:

istinti, di cicli naturali

Si può parlare di razzismo, sicuramente. Forse inconsapevole, forse è l'emergere di una cultura razzista che talvolta respingiamo razionalmente ma che è presente in noi come background. E certe volte scappa, tra le pieghe della ragione.
A maggior ragione se si pensa (e la letteratura mondiale è piena di documenti) alla coerenza strutturale, alla valenza organizzativa, alla complessità artistica del jazz che tutto è fuorchè musica istintiva o sottoposta a chissà quale ciclo naturale.

Jay Jay ha detto...

Razzismo: insieme degli orientamenti e degli atteggiamenti che distinguono razze superiori da razze inferiori e attuano comportamenti che vanno dalla discriminazione sociale, giuridica e istituzionale alla persecuzione e allo sterminio di massa, volti a tutelare la purezza della razza superiore e la sua egemonia sulle razze inferiori | estens., ogni atteggiamento discriminatorio variamente motivato nei confronti di persone diverse per categoria, estrazione sociale, sesso, opinioni religiose o provenienza geografica.
(Dal dizionario De Mauro)

Se ho capito bene, la connotazione che qui si dà della parola "istinto" è assolutamente qualificante e -in questo ragionamento- rappresenta un valore aggiunto del jazz, quindi non riesco a capire, in virtù della definizione che sopra ho riportato, cosa c'entri il razzismo... Ebbene, io la parola istinto in questo caso la interpreto come creatività istantanea, capacità immediata d'interazione (interplay) e non come un riflesso totalmente scoordinato ed incontrollato in cui il cervello perde il controllo degli arti, anzi!

joe ha detto...

Il jazz, mio adorato Bruto, non è più musica americana nè, preziosissimo Jay Jay, afroamericana: è musica del mondo.
Anzi, lo è sempre stata, proprio in virtù degli apporti culturali continui e mutevoli di cui ha beneficiato nel corso della sua storia (è esistito anche il jazz-rock! e di quello buono, pure...)
Per quanto riguardo l'apporto derivante da italiani, di solito del sud, e da neri di tutte le provenienze, mi pare che non ci siano dubbi storici sul peso e sulla rilevanza di simili contributi. Ripeto, è un fatto STORICO. In realtà sto soltanto cercando di dare una matrice culturale a un genere di musica peraltro vario, variegato e multiforme. Non so se ci riuscirò, certo che se vengo tacciato di razzismo io, che sono di origini pugliesi, ho un cognome di antichissima e nobile origine africana e vivo con una donna giapponese, mi cadono le braccia e rischio di perdere tutto l'entusiasmo. La cultura razzista la respingo consapevolmente e inconsapevolmente, consciamente e inconsciamente, fisicamente e moralmente, con la testa e col cuore, e NON fa parte del MIO background. Non può scapparmi fuori da nessuna parte, non ce l'ho.
Con le poche forze che mi restano, voglio comunque tentare di andare avanti nella mia ricerca, anzi nella nostra ricerca, rispondendo a una sollecitazione: di libri di Davide Sparti ne ho due, tra cui quello citato da Terrarossa, ed effettivamente non mi piacciono. Non mi piace l'approccio a una musica che secondo me, insisto, va approcciata (per essere capita, vissuta, fruita, goduta, ballata, suonata, cantata, ascoltata, regalata per natale ecc.)in maniera completamente diversa. Più viva. Meno storicizzata, meno accademica.
Purple ha ragione quando richiama all'ordine e alla ragionevolezza. E al tema di questo post.

bruto ha detto...

ciao joe, ciao a tutti,
mi spiego meglio, il jazz nasce in america, quindi per me è americano (di nascita); la sua nascita è il risultato del "gumbo" di razze e nazionalità di new orleans (per i più "radicali") e degli USA interi (per i più "moderati"). in questo senso, e in disaccordo con chi sostiene che è musica AFRO-americana, ovvero prodotto essenziale e diretto dei neri, voglio dire che è americana.
che poi sia diventata musica del mondo, figuriamoci se non sono d'accordo. tutta la musica è musica del mondo. e può nascere un buon jazzista anche all'ombra dell'etna o sulle rive del mar baltico o della senna.
ma tutti loro (l'etneo, il baltico e il francofono) oggi suonerebbero DIVERSAMENTE se alcuni loro colleghi giunti un centinaio di anni fa nel nuovo continente con i loro strumenti in spalla, non si fossero incontrati e messi a suonare insieme.

Sulla vocalità non ho molto da dire: in quanto strumento ha le sue peculiarità, e per noi animali “umani” il surplus della comunicazione verbale dona all’uso della voce la possibilità di trasmetterci ulteriori emozioni (da qui la necessità, secondo me, di usare idiomi comprensibili al pubblico e testi congrui, cantate italiano!!). il problema è come. secondo me l’uso della voce nel jazz è troppo stereotipato. per i miei gusti poco raffinati (in questo mi sento “istintivo” nell’ascolto) i cantanti si assomigliano tutti e tutti vogliono assomigliare a qualcun altro: da billie holiday a frank sinatra a barry white a mina. e più assomigliano più sono bravi. potrei anche essere d’accordo, sulla base del fatto che è sempre più difficile essere originali ed è meglio andare sul sicuro che innovare a tutti i costi. la questione, per quanto mi riguarda, è che si desidera assomigliare sempre agli stessi 4 o 5 e questi 4 o 5 non sono i miei preferiti. Chi copia i mills brothers? chi le boswell sisters? rose murphy? henri salvador? natalino otto (“daina, sei del bosco regina…”, “in una polvere di stelle vedo te…”, “le tristezze di san luigi”, ecc.)? perché per i 50 brani di jazz più eseguiti al mondo c’è anche un titolo in francese o in spagnolo, ma non in italiano?
Rispettosamente vostro
Bruto

purple ha detto...

Prezioso il tuo intervento, caro Bruto. Prezioso e appropriato al punto tale che mi ha fatto venire una pruriginosa voglia di documentarmi sui nomi da te proposti per "approfondimenti canori".
E' vero, i cantanti jazz (e non solo...) cantano sempre e solo in inglese e hanno come riferimento i soliti esempi famosi.
Sono sostanzialmente d'accordo sul fatto che sia meglio una buona copia di un pessimo originale. Però nel jazz cantato manca terribilmente qualcosa di nuovo, di autentico, di profondo, e non da un giorno soltanto. Non credo sia un problema di idee, quanto di voglia di sperimentarle tra di noi. E' un lavoro duro e dalle prospettive incerte, però forse varrebbe la pena tentare.
Per concludere, una domanda da nerd del jazz: i mills brothers, le boswell sisters, rose murphy, henri salvador, natalino otto... si trovano facilmente da Ricordi o Messaggerie o ci sarà da impazzire per Roma?
Grazie anche per aver riportato il thread sul tema originale del post.
Una domanda: qual'è il tuo strumento?
Saluti a tutti.

Purple

bruto ha detto...

Ciao purple,
la domanda non è da nerd del jazz: anzi, chiunque ti dirà che è un nerd chi pensa sia jazz ‘sta roba qui. I mills brothers è più facile trovarli nei cestoni a 3.99€, ci sono 4 loro cd in una collana economica; dischi delle boswell e rose murphy non li ho mai visti; salvador e otto non dovresti avere problemi, ma attento a cosa trovi.
E suono la tuba.
Rispettosamente
bruto

joe ha detto...

Eh beh... il jazz ha un passaporto americano, non c'è dubbio... ha viaggiato moltissimo, fatto proseliti, e i suoi "ministri" sono stati più convincenti di quelli di qualsiasi chiesa (vediamo cosa riesco a scatenare ora con questa affermazione!). Natali americani, e quindi spuri. Forse sono proprio questi natali a costringere in una certa misura chi voglia accostarsi alla "materia" a misurarsi con una "pronuncia" quasi obbligatoria, quella americana. E in questa pronuncia non ci metto solo la lingua, ma anche e soprattutto il modo di pronunciare CON LO STRUMENTO, quale che sia... e in più, ci metto anche un pragmatismo tutto americano nella stesura e nella lettura delle parti, l'uso di convenzioni accettate da tutti e in tutto il mondo come le SIGLE delle armonie del pezzo che si compone o si suona, il fatto che non ci sia (nella maggior parte dei casi) modo di svincolarsi da un TEMPO staccato dal leader, ecc. Davvero, le consuetudini jazzistiche hanno permeato il mondo come la lingua inglese!!! Allora, Bruto, che fare? Se togliamo di mezzo la lingua inglese nel canto jazz, probabilmente si andrebbero a perdere alcune caratteristiche di pronuncia MUSICALE, ritmica e non solo, proprie del fare jazz. Non è detto che non sia un passo in avanti, però... io sono per una osservanza dei valori ritmico-espressivi del jazz, diciamo così, originario, perchè sono convinto che un albero cresce più alto e più sano se ha le radici belle solide e profonde... bisogna stare molto attenti: la pronuncia e il fatto ritimco sono la cosa più importante e forse proprio la più trascurata! Faccio un esempio: nei corsi di jazz, anche nei migliori, si pone un fortissimo accento sull'analisi ARMONICA dei brani, e sulle possibilità di estensione, alterazione e sostituzione degli accordi. E ciò è un bene. In seconda battuta (quindi con una cura minore) si parla dello sviluppo MELODICO, con particolare riferimento alle scale da usare. Di queste scale viene sviscerato un po' tutto, perchè sono quelle che si ipotizza debbano essere utilizzate nell'improvvisazione. Nella migliore delle ipotesi, si mettono in relazione le scale agli accordi del brano, e si ricorda agli allievi quale scala è meglio usare per ogni accordo. Fanalino di coda: il RITMO! E cioè, DOVE queste note, pescate sulle scale, relative o meno agli accordi, vanno piazzate nello spazio-tempo. e COME, pure. Mi spiego meglio: nessun corso di jazz spiega che si può fare del buon jazz se soltanto si riuscisse a dare un equilibrio tra queste componenti (armonica, melodica e ritmica), curando CONTEMPORANEAMENTE lo sviluppo di esse. Partire dalle sole note dell'accordo di base, dare ad esse un senso melodico e piazzarle con una certa sicurezza e "sincerità" ritmica già è molto, davvero. Poi si può continuare con le note di passaggio, poi con le sostituzioni ecc. per arrivare ad uno stile ferreo, ben radicato ed equilibrato in tutte le sue componenti. Si arriverebbe, in pratica, a capire come fa ad esempio Herbie Hancock ad essere così efficace, comunicativo e diretto NONSTANTE la complessità armonico-melodica delle sue scelte improvvisative. Semplicemente, tratta gli accordi complicati come li tratterebbe se fossero semplici. Con lo stesso spirito. Allora, per tornare alla nostra diatriba iniziale, un cantante dovrebbe saper mantenere una pronuncia schiettamente jazzistica (americana, dicevamo) pur usando una lingua diversa! E' un lavoro interessante, ma va affrontato con QUESTA consapevolezza.
In questo senso sono stati avvantaggiati gli artisti brasiliani, per via della lingua fortemente ritmica e per le permeabilità "afro" della loro cultura, e quelli napoletani, sempre per le caratteristiche rtimiche della loro lingua. L'italiano è molto, molto dolce...

Jay Jay ha detto...

Caro Bruto, giacché non riusciamo ad andare d'accordo sull'"afro-americanità" del jazz :-) ti invito ad elencarmi la provenienza dei sigoli influssi che hanno contribuito a forgiare il jazz, mettendo in risalto le componenti musicali non afroamericane (ad eccezione di quelle europee chiaramente). I creoli sono in parte africani quindi li considero a tutti gli effetti afroamericani, seppur di matrice francese. E'chiaro che qui si fa un discorso "etnico" quindi mi farebbe piacere sapere se mi sono perso qualcosa... Poi, il concetto di "americanità" è talmente relativo quando si parla degli Stati Uniti. Dovremmo parlare dei nativi dei territori degli odierni Usa, ovvero i pellerossa, per trovare qualcosa di veramente "americano". Il resto è sempre stato il frutto della fusione di due o più cose provenienti dall'esterno. Se poi a queste fusioni vogliamo dargli un nome, tralasciando "afro-qualcosa", "italo-qualcosa", "franco-qualcosa", chiamiamole pure con un nome a parte, però, dato che si parla di musica, perderemmo degli elementi fondamentali che ci permettono di capire da cosa è composta una determinata musica. E' chiaro che questo è un discorso prettamente musicologico, ma secondo me non meno importante.

bruto ha detto...

ciao jay jay,
premettendo che: siamo fuori argomento, che questo tipo di discussioni presto diventano oziose, ma soprattutto che non esiste UN jazz ma TANTI jazz, SECONDO ME il jazz oltre alle radici africane già ben definite e riconoscibili, NASCE con forti influssi dovuti: 1) all'uso di strumenti di "provenienza" europea - 1a- gli ottoni "portati" sia delle bande militari (sousa ecc.) che dagli emigranti (la rocca, tortoriello, ecc.), 1b- i legni (l'odiatissimo contrabbasso, il violino) 1c- il pianoforte; 2) la diffusione a new orleans della musica "eurocolta" con la french opera house che trottava a spron battuto e gli insegnanti di musica a domicilio; 3) la diffusione della musica nelle strade, marce e marcette, parate e funerali, elezioni ecc.; 4) lo "spanish tinge"; 5) i ritmi di provenienza caraibica; 6) per quanto riguarda la faccenda armonia-melodia-ecc., confido in un aiutino da joe; 7)l'oom-pah dei bassi per i primi 30 anni tutto mi pare meno che africano.
mi fermo qui.
da tutte queste cose, da tutte insieme, SECONDO ME, nasce il jazz. tutte queste cose, tutte insieme, stavano in america agli inizi del '900.
e, SECONDO ME, tutte queste cose si possono sentire nel jazz fino a buona parte degli anni '30.
ma nel frattempo (sto semplificando tutto, non voletemene) il jazz cambia, chi toglie i ritmi caraibici, chi le armonie-melodie di matrice "eurocolta", chi usa gli strumenti elettrici, chi usa il c/basso (tum, tum, tum, tum), e si va avanti.
tutte queste evoluzioni del jazz (successive alla sua nascita ed ai suoi primi 20-30 anni) hanno portato ad un predominio della matrice africana e ad un progressivo abbandono delle caratteristiche "extra-africane". ma nasce americano.
tutto questo SECONDO ME.
date a tutto questo solo il valore che merita.
rispettosamente
bruto

purple ha detto...

Se dico voce dico canto (in senso ampio). Se dico canto dico fraseggio. Se dico fraseggio dico vocali, consonanti (o assimilabili), respiri, interiezioni, budella....
Quanti cantanti e/o strumentisti conoscete che hanno a cuore questi concetti?
Parliamone...
Purple

joe ha detto...

Ciò che dice Bruto è vero. Almeno, per ciò che ne so e che ho sentito... la scorsa settimana ho suonato alla Casa Del Jazz con Wendell Brunious (trombettista)e Sammy Rimington (clarinettista). Sono due musicisti provenienti da New Orleans, di jazz "classico". Il primo è un nero americano e il secondo è bianco e inglese, e la cosa che mi ha colpito di più è stata che l'inglese puntava sul senso del blues, sulle inflessioni e sul cuore, mentre l'altro ha scelto di sfoggiare una grande tecnica, un fraseggio oggettivo e freddo, e una meditata "coolness". Quindi è vero che si può tenere o togliere qualsiasi componente "fondatrice" del jazz! E' evidente che ogni musicista, A PRESCINDERE dal colore della pelle e dalla nazionalità, sceglie da quelle componenti per meglio soddisfare le proprie esigenze espressive e di carattere. Il bello del Jazz, la grandezza del jazz è proprio questa: non è importante COSA si suona, ma COME si suona... ed è bello sentire le personalità, le diversità, le differenze. E' di grande crescita per tutti, musicisti e ascoltatori.

Jay Jay ha detto...

Sì sono d'accordo Joe...Però, secondo me, il punto è capire non tanto cosa sia oggi il jazz, perché è chiaro che è una musica di TUTTI, UNIFICANTE, EGUALITARIA, ma cosa è stato nella sua evoluzione, ovvero chi ha dato cosa nel suo sviluppo (è un discorso prettamente musicologico quindi a molti, compresi i musicisti, può anche non interessare, ma a me interessa, e come!!!).
Quello che scrivi nell'ultimo post, caro Bruto, non mi trova d'accordo (o meglio, gran parte di ciò che scrivi mi spinge ancor più a confermare l'"afroamericanità" del jazz). Però come giustamente ricordi tu, siamo OT (come si dice in gergo quando si è fuori argomento, per chi non lo sapesse) quindi mi fermo qui e rimando la discussione ed i miei modestissimi distinguo ad un eventuale post a sè stante, tipo "I creatori del jazz"...

bruto ha detto...

torno in argomento parafrasando purple:
secondo me
se dico voce dico canto. se dico canto dico parole, se dico parole dico frasi, racconti, storie, emozioni, budella...
i modi per arrivare alle budella sono svariati e l'evoluzione ha portato il jazz a trascurare la strada del racconto cantato.
saint james infirmary è più o meno "efficace" sapendo il testo?
di quanti pezzi di jazz eseguiti si fa anche il "verse" (la strofa) e non soltanto il "chorus" (il ritornello)?
se ogni pezzo jazz viene eseguito sempre alla stessa maniera ovvero: niente intro, niente verse, quindi melodia, solo tromba, solo sax, un solo di un pezzo della ritmica, ogni 5 pezzi uno stop chorus con la batteria (più spesso, un inciso), ripresa melodia, collettivo, coda (sempre le stesse 2 o 3), dov'è lo spazio per la vocalità? un chorus di scat?
rispettosamente
bruto

purple ha detto...

Sempre più in sintonia con Bruto. E con Joe. Il jazz non è o testa o cuore, ma è testa (q.b.) e cuore (ognuno metta i kg. di cui dispone...).
Ma soprattutto il jazz è, a mio modestissimo avviso, avere qualcosa da raccontare. E' una storia, una leggenda, una favola. Per farla arrivare nelle budella di chi ascolta deve partire dalle budella di chi la racconta. E per raccontarla ci vuola la VOCE.
Guai a spiegarla con i diagrammi di flusso.
Ossequi a lor signori.

Purple

bruto ha detto...

dopo aver parlato per un mese di voce, mi è venuta voglia di andarci.magari serve ad aggiornarsi sullo "stato dell'arte". che ne pensate? quanti ne conoscete?

http://www.myspace.com/voceania
VoceaniA” è una rassegna artistica dedicata ai gruppi vocali. Le diverse e più interessanti realtà nazionali si riuniscono per verificare l’attività di ricerca musicale nel campo della polifonia e delle armonizzazioni vocali. E’ l’occasione per confrontare stili e repertori differenti, dal gospel al barocco, dallo swing al pop, che hanno come denominatore comune l’utilizzo del mezzo vocale come ensamble, l’uso del contrappunto e del fugato, il canone, l’intreccio armonico jazzistico, a cappella o più folklorico. La rassegna non è organizzata in forma competitiva ma, alla luce di un’attività concertistica e discografica relativa all’anno precedente, si segnalano alcune formazioni vocali del panorama nazionale, che si sono distinte, che vengono invitate a partecipare. e che si esibiranno in una breve performance canora, rappresentativa del loro lavoro, dando così vita ad un vero e proprio articolato recital delle diverse formazioni presenti, in una sorta di collage caleidoscopico di esecuzioni vocali e strumentali. Il Premio Voceania sarà consegnato ai gruppi vocali da noti personaggi dello spettacolo, artisti di alto livello.

purple ha detto...

Per chiosare il post, dove purtroppo si è smesso di scrivere (sigh..), questo mi sembra il ommmento migliore possibile:

Che c'è di più bello della voce umana. Spesso mi sono chiesto se Armstrong è meglio come trombettista o come vocalist. Con la tromba ha creato il jazz, con la voce gli ha dato l'anima. Lasciateli cantare! Che lo facciano, però, con naturalezza, con genuinità, con feeling, con sincerità.

(Duke Ellington)

Saluti a tutti.

Purple