mercoledì 21 novembre 2007

Repertorio minimo del giovane jazzista...

... e non solo di quello giovane, ovviamente. Il quesito è stato posto da un nuovo amico, Jazzino, e lo trovate nel post delle recensioni. Intanto benvenuto, Jazzino! E anche per te le solite esortazioni: diffondi il verbo del jazz-joe-blog, e aggiorna il tuo profilo affinchè ne possiamo sapere di più su di te, sulle tue aspirazioni e sui tuoi gusti.
Prima di tutto, una premessa.
Il jazz, tutto il jazz, è una musica colta. In musicologia, ci sono dei criteri precisi per individuare quanto una musica, e in ogni caso una forma espressiva, possa essere definita tale. I criteri sono tre: 1) lo sviluppo nel tempo della forma musicale 2) l'individuazione di soggetti "attori" del suddetto sviluppo 3) il grado di "fungibilità" tra esecutori e fruitori.
Mi spiego meglio, nel dettaglio.
1) una musica che cambia nel tempo, che prende le mosse da intuizioni precedenti recependole e ampliandole, che sviluppa le forme e le strutture da cui deriva, è colta.
2) e sarà facile, se una musica è così capace di nutrirsi e rigenerarsi nel tempo, individuare alcuni compositori, autori, creatori ecc. che sono stati, sono e saranno i protagonisti di questo rinnovamento, creando stili, scuole ecc. Anche per questo criterio, unito al precedente, tale musica potrà definirsi "colta".
3) e probabilmente, tali competenze saranno "alte", cioè nel tempo si sarà sviluppato un "know-how" difficilmente emulabile da chi non è "del mestiere". Si sviluppa, cioè, una professionalità. Al contrario se il fabbro di un paese della Ciociaria, oggi, intona un canto, domani il ciabattino che ieri lo ascoltava potrà probabilmente fare la stessa cosa con una certa facilità. Con questo, ci tengo a precisarlo, non sto dicendo affatto che il saltarello ciociaro sia una musica "incolta"!!! Questo chiarimento è doveroso: il contrario di colto, tutt'al più, è "popolare" nel senso più bello e genuino del termine.
Altro esempio: la musica di Claudio Baglioni non è una musica colta, perchè tutti, con pochissimo impegno, possono "prendere il suo posto". Con questo non intendo dire che alcune canzoni di Claudio Baglioni non siano interessanti o belle. Valgono, e vanno valutate, per l'ambito e nell'ambito in cui nascono.
E questo è un altro problema preliminare: l'ambito jazzistico. Bisogna distinguere i brani i due categorie: 1) brani di jazz, e 2) gli "standards".
Va chiarito: "'Round Midnight" o "Donna Lee" NON sono degli standard, ma pezzi di jazz: nati nell'ambito del jazz ed eseguiti nello stesso ambito!!! e quindi, vanno eseguiti alla lettera, esattamente come qualsiasi brano di musica, ad esempio, classica.
Invece qualsiasi canzone, brano, motivetto nato in un altro ambito (classico, operistico, teatrale, Broadway, musica per film ecc), una volta IMPORTATO nell'ambito del jazz DEVE essere cambiato, trattato, variato, interpretato altrimenti non "suona" jazz: allora, quello è uno standard. Tutte le canzoni di Cole Porter o di Gershwin, poniamo.
Jazzino, cosa vuoi sapere? Se è facile suonare del jazz? Ti posso rispondere così... c'è gente che non può fare diversamente, e qualsiasi cosa suona, bene o male, diventa jazz...
Sicuramente occorre sviluppare ed accrescere il più possibile alcune competenze, come farebbe chiunque volesse accostarsi alla musica colta europea, o all'opera lirica, o ad altre musiche "colte" nel senso dei criteri detti prima. E' una musica PROFESSIONALE, a qualsiasi livello la si faccia. Ed è sempre stato così, anche ai primordi negli anni 10.
Il repertorio, fondamentalmente, non ha importanza.

8 commenti:

bruto ha detto...

mah, per far tornare quelli che si sono spaventati, caro joe, io dico che, se la suono io, la possono suonare tutti.
secondo me le competenze da sviluppare e accrescere sono nettamente meno rispetto a quelle di altre musiche "colte" (avrei da ridire sull'argomento "coltaggine", ma non mancherà occasione).
molto, moltissimo, secondo me, dipende dallo strumento: per me, qualunque brano sta sul librone, lo posso suonare in una jam (col librone davanti, ovviamente). e credo che ciò si possa dire in generale per il basso (lo so, ci sono eccezioni).
per quanto riguarda la domanda originale, secondo me il repertorio dipende da due fattori: lo stile e i musicisti.
io faccio jazz tradizionale e i pezzi "standard" sono tutt'al più un centinaio: tranne qualche piccola differenza di tonalità li puoi suonare in qualunque locale di trad jazz di tutto il pianeta.
ma se si parla di jazz più recente, e l'ambito non è di professionisti, ho l'impressione che il repertorio si basi sui primi 20 aebersold.

joe ha detto...

Ciao Bruto!!! Allora, ci hai colto in pieno. Il repertorio ha importanza eccome, se ci si riferisce al jazz "diviso per generi". Infatti ci sono diversi repertori, a questo punto: tradizionale, be-bop, coltraniano, solo Ellington, solo standards, Billie Holiday e via discorrendo. Normalmente, quando si fa un gruppo musicale, si scelgono in primo luogo i musicisti (di solito amici), poi il genere e poi, sulla base delle prime due scelte, il repertorio. E ci si diverte a vedere se è possibile "rifare" certe cose, certe atmosfere, avendo un occhio attento ai gusti dei componenti il gruppo, con un atteggiamento che va dal rispetto per una "tradizione", al divertimento puro, alla speranza di crescere poi professionalmente (suonare stabilmente in un locale, ecc).
E questo è lo spirito, come dire...hobbistico. E vale anche per gli amanti della musica classica, o della musica medievale piuttosto che per la bossa-nova. Tutto comincia, diciamo così, per amore.
Ecco, parliamo d'amore (Bruto, non è una battuta ;-)): a tutti piace far l'amore, e si comincia a farlo per il PIACERE di farlo. Allora, non importa la tecnica, non si tende certo a "sviluppare competenze" professionali, piuttosto che artistiche.... si pensa (o meglio, si smette di usare il cervello, in realtà) solo a star bene. Ma mettiamo per un attimo che a qualcuno venga proposto, un bel giorno, di far l'amore PAGATI PER FARLO. Ecco che scattano tremila considerazioni diverse: in primo luogo SE farlo o no. Poi, per quanto. E via di seguito: con chi, dove, quando, e così via. Ecco che sorge il problema della "soddisfazione del cliente". E, di conseguenza, il bisogno di aumentare la propria professionalità, da tutti i punti di vista.
Nella musica avviene esattamente la stessa cosa.
Ovviamente, per essere "bravi", bisogna puntare su stili a noi congeniali, ma il ventaglio delle richieste si allarga a dismisura. Probabilmente arriva il momento di imparare più di uno strumento (come succede ai sassofonisti che poi devono imparare il clarinetto e il flauto) o, al contrario, di concentrarsi sempre di più sul proprio strumento diventando uno "specialista" (come nel tuo caso, visto che suoni il basso tuba). In ogni caso, ci si aspetta che il musicista (ora sì, si può chiamare così) sia BRAVO a suonare.
Di più: anche se scegli di specializzarti non solo in uno strumento ma anche in un genere, ancora peggio: devi essere IL MIGLIORE.
Di solito va così. Ovviamente la trafila è lunga, e non finisce se non con la vita del musicista...

jazzino ha detto...

Sono d'accordo su molte delle cose dette ma la mia domanda rimane: uno che aspira ad essere un buon musicista di jazz è come se fosse uno che vuole imparare una lingua. Deve applicarsi, parlare, fare esercizio ma soprattutto frequentarla in senso ampio. Nel jazz esistono le jam sessions che sono una cosa abbastanza singolare nel panorama musicale. Non credo che nel rock - ma anche nel pop - sia pensabile una cosa equivalente o corrispondente. Per questo mi domando quali idiomi praticare per "masticare" questa lingua al pari di quelli che già la "parlano". Certo, arriva presto o tardi il momento nel quale ogni musicista aggiunge brani al "suo" repertorio personale costruito anche sui propri gusti e sulle proprie preferenze. D'altronde la musica continua ad essere composta e così il patrimonio dell'umanità aumenta progressivamente. A maggior ragione credo sia indispensabile avere dei riferimenti comuni ad altri musicisti che suonano jazz. Ho letto qua e là elenchi di brani che sono stati stilati in base a differenti fattori: le canzoni, le ballad, i blues, le composisioni originali, i ragtime, ecc. Altri elenchi prendono in considerazione gli autori o i periodi o gli stili. Ecco, dal vostro punto di vista come può essere stilato un elenco ragionato di brani da inserire... appunto in un repertorio minimo?

bruto ha detto...

do il mio contributo per un repertorio essenziale di jazz tradizionale: after you've gone, all of me, avalon, basin street blues, bill bailey, bourbon street parade, bye bye blues, careless love, caravan, china boy, dinah, doctor jazz, do you know what it means to miss new orleans, glory glory hallelujah, hello dolly, honeysuckle rose, i can't give you anything but love, indiana, i've found a new baby, just a closer walk with thee, just a gigolo, jazz me blues, lazy river, muskrat ramble, on the sunny side of the street, oh lady be good, rosetta, saint james infirmary, saint louis blues, the sheik of araby, some of these days, struttin' with some barbecue, sweet georgia brown, when you're smiling, tiger rag, that's a plenty, blues my naugthy, macinino.
ho fatto la lista, poi mi sono accorto che erano troppe (si stava perdendo la "minimalità" richiesta) e ne ho tolta qualcuna. joe, che ho dimenticato? quanti di questi pezzi stanno in altri "repertori"?

joe ha detto...

Accidenti! Era tanto che non vedevo scritto "macinino" al posto del sempiterno "Oh When The Saints Go Marchin' In".... ciò denota una competenza e una padronanza della materia invidiabili.
La lista è senz'altro ottima. Sono tutti brani che bisognerebbe padroneggiare, conoscere, frequentare... anche perchè i giri armonici sui quali sono basati sono stati utili anche ai musicisti di jazz più moderno (Charlie Parker e tutti i boppers degli anni '40 e '50, ad esempio, o i "coolmen" della scuola di Lennie Tristano, o i californiani) per costruire le proprie composizioni originali. Ad esempio, "Donna Lee" del 1947 ha lo stesso giro armonico di "Indiana" che ha almeno vent'anni di meno, oppure "Scrapple From The Apple" che ha le sezioni A prese di peso da "Honeysucle Rose" di Fats Waller.
Poi indichi alcuni brani di jazz di New Orleans (tipo "Doctor Jazz") o dello stile Chicago ("Thats A Plenty") che invece prendono le mosse da precedenti forme bandistiche... quelli è difficile trovarli in "altri repertori", ma è utile conoscerli perchè allargano la mente, e ti costringono a pensare al di fuori del solito schema AABA delle canzoni di Gershwin ("Oh Lady Be Good", ad esempio).
Manca qualcosa di importante, però. Avresti dovuto sottolineare l'importanza della forma blues in generale (anche se hai incluso un paio di "blues") e di ricordare, tornando a Gershwin, che "I Got Rhythm" va assolutamente masticato, perchè ha il giro armonico più usato in assoluto in tutti gli stili del jazz.

jazzino ha detto...

Mi piace sia l'elenco stilato da Bruto che le osservazioni fatte da Joe. Questo è senz'altro un modo adeguato di costruire un repertorio minimo. Vorrei sottolineare che "minimo" non significa che debba essere per forza piccolo o circoscritto a pochi brani ma piuttosto che deve contenere alcuni brani, come dire, "inevitabili": è possibile occuparsi di jazz (com'è strana, in questo caso, la parola occuparsi...) senza conoscere minimamente Armstrong o Fats Waller o Charlie Parker? In questo senso intendo la minimalità di cui sopra. Mi piacerebbe, con l'aiuto della vostra - a mio parere - notevolissima competenza, provare a costruire questo benedetto repertorio minimo da suggerire a chi si affaccia al mondo del jazz, magari per diventare uno strumentista... decente! Allora proporrei, umilmente e inizialmente, di costruire un percorso cronologico dentro al quale inserire dei nomi e quindi dei brani. Provo a dare il la (o il sol o il si bemolle, quello che preferite voi...).
Iniziamo dagli albori. Potremmo inserire fine '800 inizi '900 con i blues tradizionali e il ragtime. All'interno del secondo gruppo inserirei come personaggio Scott Joplin e almeno 2 suoi brani cioè The entertainer ma soprattutto Maple leaf rag. Continuando bisogna aggiungere i blues cioè i personaggi e quindi i brani. Riepilogo lo schema che propongo: periodo storico (magari con specifiche anche geografiche perché mentre a New Orleans si procedeva così a Chicago nel frattempo...); personaggio o meglio personaggi perché sono senz'altro vari; brani selezionati in riferimento alle due specifiche sopra utilizzate? Che ne dite? Possiamo lavorare utilmente in questa direzione?

jazzino ha detto...

Piccola integrazione: esistono testi nei quali questo argomento viene trattato in modo serio e approfondito. Tuttavia a me piacerebbe sentire il parere del mondo vivo e pulsante rappresentato da chi il jazz lo prova a suonare veramente. Per questo le nostre parole hanno, secondo me, un peso specifico maggiore di quanto scritto - anche molto bene - sui testi sacri e non.

joe ha detto...

Occhei. Però tieni conto, Jazzino, che chi la musica la vive e la fa non sta tanto a speculare intellettualmente su problemi di etichette, di stili e di periodi storici. Di solito è così, non sto dicendo che sia un bene o un male.... certo che un musicista è senz'altro più completo se riesce ad inquadrare storicamente alcune "procedure", per poi poterle utilizzare, però, sempre in maniera creativa e "libera", senza cioè sentirsene impastoiato, senza sentirne il "peso" culturale, senza farsi bloccare da edipici punti di riferimento artistici ecc.
Fatta questa doverosa premessa, nonchè esortazione alla libertà creativa, chioso dicendo che in tutte le lingue del mondo "suonare" equivale a "giocare", oltre che ad "interpretare". es. "to play" in inglese, "jouer" in francese, "spielen" in tedesco e, mi dice la mia amica Lidia Romeo, anche in russo...